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Autoreview: segreti, curiosità, aneddoti ed autorecensione degli album di Ab Origine band.
Prima di tutto mettiamo da parte la falsa modestia: La via di uscita è un piccolo capolavoro della world music italiana. Un tentativo, decisamente riuscito a nostro avviso, di rendere senza scimmiottare l’esperienza dello zen secondo i gusti, la cultura e l’attitudine musicale europea.
Prodotto a ridosso di circa due anni tra il 2013 ed il 2014 vi suonano ben undici musicisti con una ventina di strumenti etnici e non dai quattro continenti. Questo concept album ha una durata di quasi 35 minuti in cui quasi tutte le otto tracce che lo compongono sono legate tra loro narrativamente e musicalmente.
Talvolta si creano quei magici momenti in cui tutte le forze convergono per creare qualcosa di unico e prezioso che raramente si ripeterà e che risulta essere ben più della somma delle sue parti - persone come strumenti - è proprio tale è La Via di uscita. In special modo siamo stati benedetti dall’incontro, del tutto casuale, se di caso si tratti e non di buon Karma, con quel gigante buono dei fiati etnici in Italia che è il maestro Giuseppe Dal Bianco. Una cara compagna di pratica meditativa mi diede un suo cd dopo averlo acquistato in concerto e fu amore a primo ascolto. Giuseppe medita letteralmente con i suoi magici fiati etnici, e quello del flauto, come ama dire, è per lui il suono dell’illuminazione. Immediatamente gli proposi le prima bozze registrate di didgeridoo, poiché il metodo di realizzazione di un album di Ab Origine band è per noi rimasto invariato nel tempo.
Prima di ogni architettura tecnica infatti, alla base del processo creativo c’è una visione che funge da filo conduttore di tutta l’Opera. La Visione alla base de La via di uscita mi è stata fornita dal lavoro poetico con gli haiku, poesie in metrica di tradizione giapponese, che coltivo sin dall'anno 2000 e dalla prolungata pratica meditava di origine buddhista zen seguita col Maestro Franco Bertossa a Bologna, presso l’associazione Asia, ormai da sedici anni.
Tale consapevolezza della necessità di una visione di fondo è andata maturandosi sin dai primi lavori home recording come Cantandosi (2010), ma che si è tradotta in pratica solo a partire da Keeping the wire 2.0 (2015), un album -omen nomen-, che parla appunto di come “tenere il filo”. Su tale visione, che è l’anima ed il cuore dell’album, si inseriscono ossatura e midollo: ossia le tracce portanti di didgeridoo o di un altro strumento che fungono da “narrazione di fondo” del progetto. Una volta terminate la maggior parte delle otto tracce/osso ho provveduto a girarle a Giuseppe (che vive e lavora a Vicenza), sulla base dell’intuizione che l’assonanza emotiva e di significati, il legame sentimentale ed empatico dell’album, dovesse svilupparsi a partire da due persone molto vicine come sensibilità e concetti. Nel mentre ho contattato Riccardo Casaroli alla batteria, che ha dato corpo alle tracce II e V dell’album, le più toniche ed energizzanti in un lavoro prevalentemente meditativo. Una volta ricevuto tutto il materiale da Giuseppe, si sono aggiunti via via altri musicisti, ai quali ho chiesto di lavorare sulle singole tracce sulla base della conoscenza personale delle loro specifiche competenze ed attitudini, fornendo solo una indicazione comune pur lasciando totale libertà espressiva ad ognuno: rispettare il respiro e le pause, concentrarsi sulla dimensione di ascolto “sospeso” che è possibile riscontrare in tutto l’album.
Ho deciso di non assegnare un nome alle singole tracce per rafforzare la sensazione ed il concetto di stare ascoltando un album di una sola lunga canzone meditata e che si presenta come una vera e propria seduta di meditazione: per prima cosa si imposta la posizione seduta a gambe incrociate, poi ci si concentra sul respiro e si immobilizza via via la posizione fino a cristallizzarla esteriormente, poi inizia la vera e propria fase meditativa che culmina in una immobilità totale anche interiore. “Qui” possono accadere intuizioni a seconda della domanda che ci si pone. Noi invitiamo l’uditore a domandarsi, certamente, quale sia la via di uscita dall’esistenza di nascita-e-morte, ossia la domanda fondamentale del buddhismo storico del Buddha Shakyamuni, ma ognuno può cercare le proprie domande. Infine vi è una emersione ed un ritorno al mondo ma con una rinnovata consapevolezza che ci guida nel quotidiano e che saltuariamente riappare come un miracolo vivido e concreto, quando meno ce lo aspettiamo.
L’avreste mai detto? Chissà come ognuno si vive tale ascolto?
La Via di uscita parte I è un omaggio a Ryuchi Sakamoto ed alla sua bellissima colonna sonora del film Merry Christmas, Mr. Lawrence, di Nagisa Oshima, 1983. Il pianoforte è suonato da un compagno di pratica meditativa, Domenico Canzoniero sulla base di un didgeridoo woodslide costruito da Walter Strasser. Tale strumento suona più note alternando le varie posizioni dello slide in metallo (solitamente un didgeridoo ha una sola nota per un solo foro, mentre un woodslide ha appunto uno slide metallico che scorrendo dentro il corpo di legno dello strumento permette di variarne lunghezza e nota), e sovrapponendole di modo da glissare tenuemente tra una “coda” e l’altra. Il pianoforte di Domenico continua a suonare senza interruzione legandosi al brano successivo. Vi parrà strano, ma il buon Domenico è rimasto per molti anni insoddisfatto della sua composizione pianistica ritenendola poco strutturata, mentre la maggior parte degli uditori e di molti musicisti continuano a considerarla come altamente poetica ed evocativa. In effetti, in dieci anni di produzioni non mi è mai successo di avere un parere positivo univoco da parte degli stessi musicisti coinvolti.
In La via di uscita parte II entra tutta la magia del flauto cinese hulusi di Giuseppe Dal Bianco. Con Riccardo abbiamo strutturato una traccia in 7/8 - 4/4 che la batteria suona incalzando sui tom rendendo un effetto altamente tribale per aprirsi poi areosa mentre il didgeridoo suona armonici prolungati. La traccia si chiude con un contrappunto di hang suonato sempre da Giuseppe e di sansula, un lamellofono simile alla kalimba ma montato su pelle, suonato da me.
La via di uscita parte III è la vera novità sonora sul fronte del didgeridoo: una traccia interamente suonata con intervalli di effetto tromba, con note diverse che glissano dall’una all’altra sulle quali canta il flauto traverso e suonano i colori di gong e di campanacci di Giuseppe. Essa è forse la traccia più oscura dell’album. Il vero koan, gli indovinelli esoterici dello zen, tradotto in suono.
La via di uscita parte IIII il cui numero romano non è un errore (IV), considerando la scrittura numerica evolutiva come nei Tarocchi di Marsiglia, ossia di non procedere mai per sottrazione (5 -1) quanto per addizione e progressione (1+1+1+1). Questa è la traccia immersiva nella dimensione meditativa e dove, per la prima volta nel disco non è presente il didgeridoo. La sansula è il mandala di fondo della traccia sul quale aleggia sospeso il flauto cinese di bamboo dizi suonato da Giuseppe e gli arpeggi di scacciapensieri di Lorenzo De Boni. Questa traccia è stata anche usata per un bel video documentario di Miko Meloni: Oficina de arte del 2014 e lo splendido videoclip ufficiale annesso.
La via di uscita parte V è la risalita potente che ci si aspettava dopo una tale profondità. Al sax c’è otto Karl Wagner e Riccardo Casaroli alla batteria. Il cambio di ritmo al minuto 2.50 e che costringe didgeridoo e batteria ad una fittissima “galoppata”, ha richiesto molti tentativi prima di risultare soddisfacente così come è stato registrato, in special modo la chiusura che non cade volutamente a tempo, per poi riprendere col sottofondo di synths creati ad hoc da Nico Canzoniero (cugino del Domenico pianista). La sansula è come sempre suonata da me.
La via di uscita parte VI rappresenta il tentativo di portare tutto quello che è accaduto tra immersione e risalita, nel mondo. Una rinnovata e misteriosa quiete resa come sempre dalla struttura mantrica circolare della sansula e delle tablas suonate da Ayub Noor Muhammad e contrappuntate dalla melodia di flauto tin whistle della tradizione irlandese e dalla chitarra saz di Nico Canzoniero. Questo semplice flauto in metallo in nota re è stato acquistato per una dozzina di euro in un negozio musicale, a dimostrazione che bellezza, melodia, armonia e idea di fondo possono manifestarsi anche a discapito della qualità degli strumenti tecnici a disposizione.
Con La via di uscita parte VII si riparte per il viaggio, ma è un viaggio senza pretese verso nessun dove. Il suono del didgeridoo si fa cupo, nuovamente scuro, il canto armonico di Patrizio Ligabue colora questa strada fino a quando non interviene il daf di Ayub Noor Muhammad che ci conduce fino all’esito del brano, segnalato dal corno shofar di Giuseppe e che si perde in una lontana eco rimandando all’ultima traccia.
La via di uscita parte VIII, vede al centro della composizione il canto di Rossella Cosentino, il gong e le tibetan bowls di Antonello Vespucci. Questa è l’unica traccia dove non ho suonato, lasciando che anche concettualmente, la mia presenza, il mio ego, si facesse da parte. Poche indicazioni sulla melodia ed il resto è stato fatto. Il gong al reverse sul finale è stata una geniale intuizione di Nico Canzoniero, come ad indicare un ri-torno alla fonte della Coscienza stessa, che poi è il filo conduttore di tutto l’album.
Per il packaging abbiamo pensato a qualcosa di unico che potesse rendere il concept proposto. Erano necessarie immagini e parole lì dove la musica le dipingeva col sonoro. Per cui abbiamo pensato non ad un booklet quanto ad un vero e proprio libro di 48 pagine a colori, denso di foto originali scattate in giro per il mondo dal regista documentarista già citato Miko Meloni e dai fotografi professionisti Alessandro Bianchini e Mauro Daviddi. Tutte le altre foto segnalate nel booklet interno di seconda di copertina, sono state scattate da me. Per ogni foto ho associato una poesia haiku, selezionata da una raccolta di circa quindici anni. Il libro andrebbe sfogliato e letto mentre si ascolta l’album, contemplando gli haiku e le foto, lasciandosi avvolgere dall’atmosfera creatasi dalla sinestesia degli elementi in gioco.
Infine tutto il lavoro di impaginazione è stato affidato alla preziosa Rita Correddu.
Un’ultima curiosità; la foto di prima e quarta di copertina è un’unica immagine del Salar de Uyuni in Bolivia, un antico lago disseccato divenuto la più grande salina del pianeta e situato ad un’altezza di 3.650 metri. La foto è stata scattata da Miko Meloni, così come la foto di seconda e terza di copertina che ritrae il Salar de Uyuni al tramonto.
Copie a tiratura limitata numerata a mano: 300
Vendute: 293
Disponibilità: 7 libri + files digitali
Crediti:
Gianni Placido: didjeridoo, sansula, tin whistle
Domenico Canzoniero: piano
Giuseppe Dal Bianco: hulusi & dizi flute, traverso, gong, shofar horn
Riccardo Casaroli: drums
Otto Karl Wagner: sax
Ayub Noor Muhammad: tablas & frame drums
Nico Canzoniero: saz guitar
Patrizio Ligabue: armonic singing
Lorenzo de Boni: jaw harp
Rossella Cosentino: singing
Antonello Vespucci: gong e tibetan bowls
Foto di copertina: Miko Meloni
Altre foto: Mauro Daviddi e Alessandro Bianchini
Artwork: Gianni Placido
Impaginazione: Rita Correddu
Registrato e mixato da: Nico Canzoniero al Nepalesio studio - Bologna
Registrato da: Fabio Fanuzzi al Fuzz studio - Bologna
Master di: Nico Canzoniero
Per acquistare le ultime copie disponibili de La via di uscita:
Bandcamp: https://aborigineband.bandcamp.com/
Facebook: www.facebook.com/aborigineband/
Youtube: www.youtube.com/user/gggggianni