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Due pratiche una Via

Da musicista, suonatore di didjeridoo e praticante di Yoga, ho deciso di scrivere questo articolo, coadiuvato da un video didattico di pratica, per sostenere ed equilibrare le intense sessioni di pratica alle quali ci sottoponiamo quotidianamente nello studio del nostro strumento.

Come penso di condividere con molti di voi, soprattutto professionisti ma anche principianti ed amatori, il coinvolgimento totale del corpo, il mantenimento della postura della colonna vertebrale, le continue contrazioni dei muscoli addominali in concomitanza col diaframma e la conseguente prolungata pressione sulle vertebre dorsali, determinata dall'uso talvolta forzato del respiro, alla lunga possono recare un residuo di tensioni e contratture poco piacevoli che tendono a cronicizzarsi nel tempo. Negli anni ho cercato di impostare la mia personale pratica musicale e di conseguenza la didattica che propongo su quelle che chiamo Le basi del didjeridoo, ossia i principi di corretto rapporto (corretto inteso come "privo di fantasie, reale") col corpo, col respiro e col ritmo riassunti nell'omonimo manuale didattico. Al contempo mi sono reso conto che una regolare pratica di Hatha Yoga, specificamente studiata per il caso, potesse incrementare il benessere ed evitare le problematiche su evidenziate, supportando vicendevolmente la pratica del didjeridoo con quella yogica, la quale ritengo non solamente integrativa quanto la stessa, in un diverso contesto. Lo studio dello yoga, del lavoro di consapevolezza sul corpo, asana, sul respiro, il prāṇāyāma, sulle pulsazioni energetiche, brimhana, langana e samana, sulle contrazioni e sui rilassamenti, sul pieno e sul vuoto, l'attenzione concentrata, pratyāhāra e prolungata, dharana, lo stato di assorbimento nella presenza mentale, dhyāna non sono poi così distanti per chi ne ha fatto esperienza, dallo studio approfondito del didjeridoo.

Cenni sullo Yoga

Per chi si inoltrasse oggi nel vasto mondo dello Yoga e necessitasse di un orientamento chiaro su cosa lo Yoga sia, invito a leggere questo paragrafo, altrimenti potete saltare al prossimo e proseguire direttamente con la spiegazione della sequenza di Hatha Yoga.

Lo Yoga è una Via millenaria tradizionalmente formatasi in India probabilmente attorno a V sec. a.c. Il significato di Yoga è unione, quella che nell'induismo ambisce a riconoscer-si nel Principio Supremo o Realtà Ultima denominato Brahman, mentre nel buddhismo lo yoga è il mezzo di accesso alla Verità ultima dell'anātman, ossia la non fondatezza del sé altrimenti detta vacuità . La sistematizzazione dello yoga come oggi perlopiù lo conosciamo, avviene grazie a Patañjali (yoghini e filosofo probabilmente attivo tra il I sec. a.c. ed il V sec. d.c.), autore del testo Yoga Sūtra ed unanimemente riconosciuto come il fondatore del Raja Yoga, ossia la dottrina classica dello Yoga. Tale dottrina si sviluppa tramite otto "membra", chiamate appunto Aṣṭāṅga. Lo Aṣṭāṅga, lungi dall'essere un tipo specifico di yoga è essenzialmente la Via esterna ed interna dello Yoga classico suddivisa relativamente in:

1 Yama: regole di comportamento ed etica sociale (non violenza, sincerità, temperanza, continenza, modestia, rinuncia ecc..);

2 Niyama: regole di comportamento ed etica personale (pulizia, continenza sessuale, autodisciplina, forza, perseveranza, abbandono alla volontà divina ecc..)

Come insegnava il pioniere dello yoga in Occidente, il Maestro Gerard Blitz1 , ciò al quale oggi si fa riferimento quando si parla di Hatha Yoga è essenzialmente il "filo" di pratica che dalle Āsana si dipana attraverso il Prāṇāyāmaper condurci in quello stato di assorbimento profondo denominato Dhyāna. Lo Hatha Yoga quindi, è la parte pratica delle otto membra dello Yoga classico che si occupa delle polarità energetiche Ha (attiva, ritrattiva..), e Tha (ricettiva, espansiva) tramite il lavoro sul corpo, sul respiro, sul ritmo, sulla concentrazione e sulla consapevolezza, durante una sessione di studio delimitata nel tempo e nello spazio e riassunta nei seguenti passaggi:

3 Āsana: Le posture statiche e dinamiche che si adottano nello Hatha Yoga.

4 Prāṇāyāma: Prāṇā-ā-yāma , ossia non dispersione di prāṇā, secondo la profonda traduzione di Gerard Blitz.

5 Pratyāhāra: La ritrazione dei sensi e dell'attenzione dall'esterno verso l'interno.

6 Dhāraṇā: La capacità concentrativa di rimanere con l'attenzione orientata verso l'interno.

7 Dhyāna: L'assorbimento meditativo verso la fonte dell'esperienza cosciente. 

La realizzazione intuitiva, successivamente espressa in un significato di cui il Reale ed il Vero stessi si fanno voce è denominata:

8 Samādhi: L'unione (a più livelli di profondità e significazione) con la fonte stessa dell'esperienza cosciente.

Bhakti (devozione), Karma (azione), Vinyasa (flusso), che possono diventare anche specifiche forme di yoga (come ad esempio il Bhakti Yoga di Sri Bhaktivedānta Svāmī Prabhupāda), sono le qualità che permeano la pratica yogica stessa. Come spesso avviene soprattutto nella cultura occidentale, la tentazione di prendere un specifico elemento di una disciplina complessa e profonda di implicazioni come lo yoga per farne una a se stante, è non solo più facile ma anche sottende al pensiero tecnico-funzionalista che ci caratterizza. Sebbene lo yoga sia un mezzo adattabile al contesto culturale e ai corpi con il quale si relaziona, le sue linee guida di pratica restano chiare ed invariate da Patañjali ad oggi.  

La sequenza di Hatha Yoga

Ho pensato a questa sequenza sulla base di vari esperimenti personali e sebbene essa non possa dirsi adattabile a tutte le persone è quella che attualmente ritengo più efficace nella maggior parte dei casi, al fine di rilassarsi, decontrarre ed apportare fresca energia ai praticanti di didjeridoo dopo una lunga ed intensa sessione musicale.  

1 Shavāsana: Si parte da shava, la posizione del cadavere distesi al suolo sul dorso, dove in completo abbandono, alla gravità si rilasciano gradualmente tutte le tensioni, partendo dai piedi fino alla sommità del capo. L'āsana prosegue fino a quando l'alternarsi delle inspirazioni ed espirazioni non s'è fatto sottile e le pause tra un respiro e l'altro divengono sempre più prolungate.

2 Vajrāsana: Voltandosi su di un lato si passa gradualmente alla posizione del diamante, anche nota come seiza in giapponese, seduti a terra sulle ginocchia con le natiche appoggiate sulle caviglie. Abbiate sempre cura di alzare la testa per ultima rispetto all'asse della colonna.

3 Chakravakāsana sulle mani: Si procede con la mobilizzazione della colonna attraversata dal flusso del respiro. Si assume la posizione a "4 zampe" con l'apertura delle ginocchia pari all'ampiezza del bacino, le braccia comode e non tese. Si inizia il classico movimento ad "onda" sull'inspiro che parte sempre dal fondo del bacino e ad esso ritorna sull'espiro. La lunghezza delle fasi respiratorie e delle pause è sempre relazionata dall'ascolto attento e continuo dei singoli anelli della colonna, respiro ed ascolto si influenzano vicendevolmente con l'intento di adeguare la velocità della mente ai ritmi lenti del corpo. Si consiglia la focalizzazione sull'inspiro per controbilanciare eventuale dispersione di prāṇā dovuta alle espirazioni forzate. Effetto langana.

4 Chakravakāsana sui gomiti: Ci si porta sui gomiti quando i polsi risultano indolenziti e si continua col movimento ad onda. Questa variante sui gomiti permette di lavorare con più precisione sulla mobilizzazione delle vertebre dorsali, particolarmente sollecitate dalla spinta diaframmatica durante le sessioni di pratica col didjeridoo.  

5 Balāsana: Ci si porta nella classica posizione della foglia o del bambino, con le mani distese davanti a se e si rimane in ascolto del respiro per qualche minuto.

6 Shavāsana: Si torna gradualmente in shavāsana, prima distendendosi completamente al suolo sulla pancia e poi girandosi sul dorso per tornare alla posizione di abbandono e ricevere gli effetti di chakravakāsana. Si sosta il tempo necessario perché il respiro si stabilizzi.

7 Utkatāsana variante a terra: Questa āsana aiuta a riallineare la colonna dalla cervicale al sacro e creare spazio tra le vertebre. Si esegue la variante di utkatāsana (allineamento a terra) da sdraiati, portando i piedi vicino ai glutei, ne troppo vicini ne troppo lontani. In seguito si portano le mani congiunte in alto di fronte a se, avendo cura di appoggiare bene le spalle al suolo e si procede contemporaneamente con una serie di inspirazioni ed espirazioni favorendo, sull'espiro, l'appiattimento delle lombari nel contatto col suolo. In seguito su ogni espirazione ed assecondati dalla gravità si lasciano cadere le braccia dietro la testa sempre a palmi giunti, fino a distenderle gradualmente a terra.

A questo punto inizia la fase dinamica vera e propria:  

- Sul primo espiro si appiattiscono le lombari al suolo;

- Sul primo inspiro la gabbia toracica si espande e le cervicali si allineano facendo rientrare il mento verso lo sterno;

- Sul secondo espiro si stira tutta la colonna dalle cervicali al sacro;

- Sul secondo inspiro si mantiene la posizione in pausa d'ascolto;

Si continua la sequenza fino a quando l'allineamento della colonna non ha più un margine di apparente movimento esteriore, si fissa l'allineamento con un ulteriore sequenza "mentale" percepibile solo interiormente. L'uscita da utkatāsana si fa ritirando le mani lungo i fianchi , distendendo le gambe e tornando gradualmente in shavāsana. Effetto brihmana.

8 Anjanejāsana: Posizione fondamentale per lavorare sullo stiramento dei quadricipiti e degli ileo psoas, prepara inoltre la posizione seguente. Da shavāsana ci si porta nuovamente in vajrāsana e da qui, poggiando le mani al suolo, si avanza con una gamba portando il polpaccio in posizione perpendicolare (90°) tra le due braccia distese. La gamba arretrata è distesa con la punta del piede puntata al suolo. La larghezza delle gambe è pari a quella del bacino. Si procede gradualmente avanzando sia con la gamba avanzata (mantenendo i 90° di angolazione) che con quella arretrata, evitando andare in torsione col bacino, il quale affonda per intensificare lo stiramento. Questa posizione lavora esclusivamente sulla gravità senza alcuno sforzo muscolare. L'uscita si attua portando entrambe le mani dalla parte della gamba arretrata, facendo perno sul ginocchio posteriore e ruotando nella sua direzione fino a quando anche la gamba ed il ginocchio anteriori non sono al suolo. A questo punto ci si ritrova naturalmente in vajrāsana (dovreste trovarvi nella direzione opposta a quella di partenza per cui con una rotazione sulle ginocchia vi riporterete agevolmente in posizione iniziale), dove si sosta per qualche minuto prima di inoltrarsi nello stiramento dell'altra gamba. Da vajrāsana si ritorna in shava, prima di prendere la postura successiva. Effetto langana.

9 Dvi pada pitham dinamica: Conosciuta anche come il ponte. È una posizione capovolta che permette di invertire il flusso sanguigno ed i liquidi verso il cuore oltreché consentire una prima fase di rilassamento profondo del diaframma (verso il quale tutta la sequenza tende). Dopo avere piegato le ginocchia avvicinando i piedi ai glutei si effettua una breve mobilizzazione della colonna coordinata col respiro, in seguito si allungano le braccia sui fianchi e partendo dalle lombari si inarca la schiena a "ponte" su tutto il movimento dell'inspiro, portando al contempo le braccia giunte dietro la testa. Al culmine dell'inspiro e dopo una breve pausa che va sempre rispettata ed ascoltata, si torna a posare gradualmente tutta la colonna al suolo, partendo dalle cervicali fino alle lombari, lungo tutto il movimento dell'espiro. In tale posizione un ulteriore fase di inspiri ed espiri mobilizza la colonna fino alla prossima risalita a ponte. Il movimento si ripete alcune volte fino a quando non interviene affaticamento. Da qui si torna alla posizione di partenza con la schiena allineata al suolo e le gambe raccolte verso i glutei e le piante dei piedi al suolo. Effetto brihmana.  

10 Dvi pada pitham statica: E' la stessa āsana precedente ma fissata in posizione statica. Va mantenuta respirando senza costrizioni fino a quando non interviene affaticamento.

11 Viparita Karani (ulteriore ed ultima āsana): Volendo e potendo si può ulteriormente lavorare sul profondo rilassamento del muscolo diaframmatico e sulla inversione dei flussi corporei passando da dvi pada pitham in posizione statica a questa ulteriore āsana capovolta. Si intrecciano quindi le mani sotto "il ponte" creato dall'inarcatura della schiena, chiudendo le scapole gradualmente a piccoli "passi" e contemporaneamente ci si porta in punta di piedi, di modo da favorire un ulteriore inarcamento che ci permetterà di posare le mani a coppa sotto i lombi. A questo punto si è pronti per la risalita, piegando una gamba alla volta (consigliato) verso viparita karani. In questa posizione semi perpendicolare si scarica il peso sui gomiti più che sulle cervicali mentre le mani vengono girate a coppa nella direzione dei glutei, di modo da sostenere meglio la posizione. Questa āsana va mantenuta per qualche minuto sempre senza che si entri in affaticamento: meglio meno che di più, come per ogni āsana. L'uscita prevede il ritiro di una gamba alla volta (o entrambe a seconda dell'esperienza e del corpo) portando le cosce verso il petto, poi rotolando gradualmente dalle cervicali fino alle lombari. E' consigliato, prima di ritornare in shavāsana, passare per apanāsana, portando entrambe le gambe al petto e cingendole con le braccia al fine di riallineare le vertebre sottoposte alla leggera compressione della posizione capovolta. Effetto samana.

Consiglio la sequenza dopo aver suonato ed in generale a tutti coloro che abbiano necessità di lavorare sul rapporto tra la colonna vertebrale, il respiro ed il diaframma. Per come è stata architettata la sequenza e rispettando i tempi di entrata ed uscita del corpo essa dovrebbe prendere circa 1 ora di tempo, tuttavia è possibile velocizzarla riducendola a circa 35 minuti e beneficiando di gran parte degli effetti che vogliamo ottenere. Naturalmente tali effetti restano direttamente proporzionali alla sottigliezza e capacità di ascolto di ognuno, aspetto non indifferente e che oltretutto determinerà la lunghezza della sequenza stessa.  

Con ciò vi auguro buona pratica musicale col didjeridoo e tutti i benefici della pratica yogica che senza dubbio vanno al di là di quelli puramente fisiologici.

Namastè, Gianni Placido.  

Breve bio yogica  

Studio yoga e meditazione di presenza mentale da circa tredici anni presso il Dojo di Asia in Bologna sotto la guida dei maestri Franco Bertossa e Beatrice Benfenati e delle maestre Carolina Corradini e Rossella Tomasi 2 . Ho completato il corso triennale di approfondimento in Hatha Yoga e continuo regolarmente la mia pratica integrandola con il Ki Aikido della scuola Yuishinkai 3 .  

La scuola di Yoga di Asia 4 segue il lignaggio che da Sri Tirumalai Krishnamacharya 5 (1888-1989), passa per Gérard Blitz (1912-1990), di cui Franco Bertossa e Beatrice Benfenati sono allievi diretti. L'associazione Asia 6 si è distinta come prestigioso centro internazionale di confronto tra le discipline orientali e la filosofia, scienza e spiritualità occidentali con incontri di altissimo profilo culturale unici nel loro genere. Ad Asia si deve anche la nascita delle famose Vacances de L'Esprit 7 , la vacanza che coniuga natura e cultura e che ha ospitato negli anni personalità illustri quali Margherita Hack, Piergiorgio Odifreddi, Gianni Vattimo, Massimo Cacciari, Vittorino Andreoli, Achille Bonito Oliva, Emanuele Severino, Franco Volpi, Leid Vaiman, Tupten Jimpa, Stephen Batchelor, Giorgio Celli e moltissimi altri.  

L'architettura della sequenza 

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